
Un palmarès di tutto rispetto, da giocatore e da allenatore. Walter Novellino, però, un pizzico di emozione deve provarla lo stesso mentre entra nella sala congressi di Torre del Grifo. Si osserva intorno riverente, si accomoda, lascia parlare l’ad del Catania, Pietro Lo Monaco.
“Ho sentito tanti giovani allenatori, ma mi sono sembrati dei vecchi senza mordente e senza entusiasmo. Poi ho trovato un “quarantenne” grintoso e con voglia di fare e non ci abbiamo pensato nemmeno un minuto. In un giorno abbiamo organizzato tutto” – esordisce così il direttore Lo Monaco nel presentare ufficialmente Walter Novellino quale nuovo tecnico alla guida della panchina rossazzurra.
Non è la prima volta che il tecnico di Montemarano calca questo palcoscenico. Lo fece già nella stagione 1986-1987, quale riserva e a fine carriera. Era un’altra storia. Oggi è chiamato a dirigere, a trascinare, a risolvere problemi, a dare un volto ad una squadra che fino a domenica scorsa non ne aveva.
“Non ho avuto dubbi. Quando ho sentito “Catania” ho accettato subito, è una squadra che merita considerazione nel calcio italiano. E’ costruita per la serie A, ma adesso c’è un calo di tensione e sta a me aiutare i giocatori. Il modulo? In questo momento non è importante, dobbiamo lavorare sulla testa” – replica il neo arrivato a chi gli chiede se si affiderà all’affezionato 4-4-2. Non parla troppo di accorgimenti tattici l’allenatore campano. Sa di aver raccolto un’eredità difficile e di dover privilegiare il lavoro psicologico a quello tattico e a quello strettamente atletico.
Su Viterbese-Catania e la scelta di mandare via Sottil: “Abbiamo fatto scena muta – spiega l’ad Lo Monaco – sembrava che la squadra fosse altrove, non in campo. Una bruttissima prestazione, dopo la quale abbiamo ritenuto opportuno un cambio di guida. I ragazzi sentono pressione, ma è una pressione legata ai risultati, non alla piazza. Pensavamo di poter giocare in serie B, non di continuare in serie C, costretti a rincorrere una Juve Stabia in fuga. Questo ci ha penalizzati”. Alibi? Il campo darà delle risposte.
Poi, la replica al malcontento dei tifosi: “Fischiare sullo 0-0 il proprio giocatore che sta battendo un calcio di rigore affinché lo sbagli non è amore per la maglia. Quelli che scrivono lettere, quelli che pregano che il Catania sbagli il rigore per poter contestare, non sono tifosi. Se vogliono sapere chi sono io (si riferisce ad una lettera allo stesso indirizzata, che conclude con la domanda “Lei chi è?” ndr), potrei citare milioni di cose. Parlano i fatti, parlano otto anni di serie A, parla una società modello, parla un centro sportivo all’avanguardia, parlano le duecento famiglie che lavorano a Torre del Grifo. Noi ogni domenica paghiamo 1.500 euro solo perché dobbiamo fare il coro “Speziale libero”… il Catania viene usato da queste persone per essere protagoniste, perché altrimenti non potrebbero esserlo. Il Catania si ama, ma non in questa maniera”. Parole dure, che fanno da scudo in una guerra aperta.
Servono risposte. Le attendono i tifosi (veri o non veri non spetta a noi dirlo), le attende la città. Il cambio in panchina c’è stato… adesso si freme per vederlo in campo.
