Immuni. Si chiama così l’app italiana per il tracciamento dei contagi da Coronavirus. E’ stata realizzata dalla start up Bending Spoons e scelta dal Ministero dell’Innovazione tra le 300 proposte arrivate. Immuni sfrutta la tecnologia Bluetooth: se un telefono è stato vicino a quello di una persona affetta da Covid-19, avvertirà con un allarme. Perché ciò avvenga è necessario che l’app sia scaricata da almeno il 60% degli italiani. Una volta individuati i positivi, Immuni ricostruirà tutti i loro movimenti nelle settimane precedenti e manderà un messaggio a coloro con cui sono entrati in contatto per segnalare che sono a rischio e invitarli a mettersi in auto quarantena. In poche parole, saremo tutti controllati. L’app non è obbligatoria, è vero, ma chi non la scarica sarà soggetto a limitazioni negli spostamenti. Cioè, se non hai Immuni non ti muovi. Un incentivo del governo per raggiungere il 60% di adesioni, cioè la soglia minima per garantire l’efficacia del sistema. Non sarà un’app obbligatoria a parole, ma nei fatti lo diventa. Se poi consideriamo che una buona fetta degli italiani è composta da over 70 e che bisogna calcolare anche i minori, non si comprende come si possa raggiungere quel numero. Ma questa è soltanto la punta dell’iceberg. Il problema di fondo è la privacy. Nessuno, a parte chi ha scelto Immuni e chi l’ha creata, sa quali dati del cittadino tratterà, dove verranno conservati e da chi. Dubbi e perplessità si sono diffusi alla velocità del Coronavirus. Le forze politiche hanno chiesto di confrontarsi in Parlamento e il Copasir promette di occuparsene in nome della sicurezza nazionale. Per la verità non è stato interpellato neanche il Garante per la Privacy, Antonello Soro. Ma durante un’audizione in Parlamento Soro è stato chiaro: “Non si può scambiare la rinuncia a ogni libertà per l’efficienza. Il consenso al trattamento dei dati personali non può essere obbligatorio per usufruire di determinati servizi o beni”. Polemiche anche sui social, dove giudici e addetti ai lavori lamentano che l’app mette a rischio i diritti fondamentali della persona. Insomma, non si può delegare così ciecamente a un algoritmo il controllo della diffusione di un virus e, quindi, della nostra libertà. Servono pareri, autorizzazioni ma soprattutto leggi che regolamentino una materia così delicata come la privacy durante un’epidemia. Fonte foto: ilroma.net