In Italia si registra un trend positivo nella lotta al Coronavirus. Secondo i dati forniti ieri, domenica 5 aprile, dalla protezione civile sarebbero 28.949 i ricoverati, quindi 61 in meno rispetto al giorno precedente, di cui 3.977 in terapia intensiva, quindi 17 in meno. I guariti raggiungono, invece, quota 21.815. Alcuni studi mostrano, peraltro, che il numero giornaliero dei contagi in Italia sarebbe iniziato a diminuire circa venti giorni fa, attorno a metà marzo, quale effetto delle misure restrittive allargate all’intero territorio nazionale. L’Italia entra, dunque, nella fase due dell’epidemia. E lo stesso vale per i farmaci anti Coronavirus: se inizialmente gli ospedali somministravano cocktail di medicine varie per endovena a tutti i casi gravi, oggi vengono diversificate le terapie. Insomma, se prima si agiva istintivamente per salvare vite, oggi, grazie ai numeri più contenuti, i medici possono ragionare meglio su come combattere il virus. La terapia consiste nel dare alcuni farmaci nella fase iniziale ed altri in quella successiva. Si ipotizza che i farmaci antivirali, agendo sulla replicazione del Coronavirus nel corpo, siano più utili nella fase iniziale, quella in cui l’infezione cresce. Allo studio ci sono Remdesivir (già messo a punto per l’Ebola), la coppia Lopinavir/Ritonavir (usata da anni contro l’Aids) e l’antinfluenzale giapponese Avigan. In una seconda fase, quando i polmoni sono compromessi, si prova ad agire sul sistema immunitario: è infatti la sua reazione esagerata all’infezione a riempire gli alveoli polmonari di un liquido che ostacola il passaggio dell’ossigeno nel sangue. In questo caso si usano farmaci che “calmano” il sistema immunitario come Tocilizumab e Sarilumab. Efficace anche la clorochina, un antimalarico degli anni ’30. Durante uno studio cinese, il farmaco ha dato risultati incoraggianti, agendo nelle due fasi della malattia: quella virale iniziale e quella successiva infiammatoria. Affidabile al punto da essere somministrato anche ai pazienti a casa. Le Regioni italiane sperimentano, invece, sul plasma dei convalescenti, poiché in questa fase il sangue contiene un alto numero di anticorpi contro la malattia. Bisogna solo trovare pazienti con una quantità di anticorpi contro il virus tale da poter aiutare almeno tre/quattro persone. Fonte foto: corrieredelmezzogiorno.corriere.it