di Alfio Franco Vinci La notizia del rinvio al 2023 della stretta inderogabile del patto di stabilità europeo, somiglia troppo al “rinnovo del cambialone” che veniva proposto a chi comprava un’automobile a rate. Il patto di stabilità, nato nel 1997, in attuazione del trattato di Maastricht del 1992, fissato al 3% per una specie di scherzo di un collaboratore di Mitterand, ha infatti un doppio vincolo; il 3% annuo ed il 160% globale di tolleranza del rapporto deficit Pil.
Superato il 3% per anni viene avviata la procedura di infrazione; superato il 160% arriva la Troika, cioè il commissariamento di uno Stato membro da parte della UE.
Se i valori sono stati fissati per scherzo, credo si tratti di un brutto “scherzo da prete”.
Guy Abeille, infatti, alto funzionario francese e strettissimo collaboratore di François Mitterrand, venne richiesto, come ha lui stesso svelato,
di suggerire una percentuale congrua ed accettabile per fissare il tetto del deficit annuo consentito.
Non sapendo che pesce pigliare, visto il tempo assegnato di una sola ora, pensò alle tre grazie, ai tre ordini alchemici ed alla Santissima Trinità; e da qui il “numero perfetto“, quasi mistico.
Il nostro deficit rispetto al Pil è schizzato dal 134,7% del 2019 al 157,5% del 2020 , ed appare assai improbabile che possa scendere nel 2021.
Ciò premesso, la moratoria ottenuta dal Governo italiano e vantata a proprio merito da Paolo Gentiloni, si riferisce esclusivamente al valore annuo, e non già al totale.
Ne consegue che di fatto, come avevano già provato a fare col MES prima versione, si tratta solo di una autorizzazione ad indebitarci ulteriormente, senza avvisarci che , a scadenza, il “cambialone” scopriremo non essere “rinnovabile“.
Cosa ne seguirà? Qualcuno ha detto: ”mai più come la Grecia“, ma è un film tutto da vedere e non vorrei che questi lasciti di Conte e di Gentiloni (anch’egli Conte) accettati senza ”beneficio di inventario“, mandassero in scena la versione 4.0 di “miseria e nobiltà“.