Un'operazione antimafia massiccia, con l'impiego di oltre 150 agenti con una parte proveniente dalla Calabria.
Il blitz, coordinato dal Servizio centrale operativo di Roma e dalla questura di Messina, ha portato all'arresto di 15 persone, tra cui Salvatore Virgillito, 59 anni, presidente dell'ordine dei commercialisti di Catania.
Al centro delle indagini, la gestione illecita di aziende confiscate alla mafia e un sistema criminale capillare che continuava a prosperare nonostante i sequestri e gli arresti precedenti.
Secondo la ricostruzione degli inquirenti, in campo vi era un’organizzazione di matrice mafiosa che gestiva illecitamente un’impresa, con sede a Barcellona Pozzo di Gotto, nel settore dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani, smaltimento di rifiuti speciali e demolizione dei veicoli.
In sintesi, le indagini hanno svelato che la famiglia mafiosa Ofria Bellinvia, appartenente al noto "clan dei barcellonesi", manteneva il controllo su un'azienda di rivendita di automobili usate e pezzi di ricambio.
Grazie alla complicità di un amministratore giudiziario, l'impresa continuava a operare come una vera e propria base operativa del clan: incassi in nero, intimidazioni verso i dipendenti e l'intero controllo delle attività aziendali. Il denaro raccolto, custodito in un emblematico borsello nero, serviva a finanziare il sostentamento dei detenuti affiliati al clan e delle loro famiglie, consolidando ulteriormente il potere mafioso nella zona.
E Virgillito? La figura di Salvatore Virgillito emerge dalle indagini come centrale nello scandalo. Secondo gli inquirenti, il suo ruolo come amministratore giudiziario nominato dal tribunale era fondamentale per garantire alla famiglia Ofria il controllo delle attività confiscate.
Le intercettazioni telefoniche e le testimonianze di un nuovo collaboratore di giustizia hanno permesso di ricostruire l'intero schema criminale. Durante l'operazione, sono stati sequestrati armi, droga e denaro.
Quattordici degli arrestati si trovano ora in carcere, mentre uno è agli arresti domiciliari. La Direzione distrettuale antimafia sottolinea che il caso rappresenta una chiara dimostrazione di come il potere mafioso sia riuscito a infiltrarsi nei meccanismi istituzionali, ma anche di come l'azione congiunta delle forze dell'ordine possa efficacemente contrastarlo.