CATANIA – Maxi blitz dei carabinieri, con un'operazione denominata Sotto Scacco a carico di 40 persone: ai vertici dell'organizzazione ci sarebbe l’ergastolano Santo Alleruzzo, già condannato per duplice omicidio, mafia e traffico di droga, attualmente detenuto a Rossano, secondo i militari il boss avrebbe approfittato “dei permessi premio per ritornare nel paese d’origine a Paternò, dove nel corso di summit mafiosi, continuava ad impartire ordini ai suoi adepti”. Le indagini, coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catania, hanno consentito di ricostruire gli organigrammi della famiglia Ercolano – Santapaola di Paternò e Belpasso nello specifico. I carabinieri hanno individuato un “ulteriore canale di finanziamento delle casse del clan”, ovvero “l’indebita percezione dell’indennità di disoccupazione agricola”. “Attraverso una rete di ditte compiacenti – scrivono gli inquirenti – consulenti del lavoro disponibili e soggetti che si prestavano a fungere da falsi “braccianti agricoli”, l’organizzazione predisponeva tutta la documentazione necessaria ed inoltrava all’INPS le domande per l’indennità”. Controllo del territorio, protezione per i commercianti che si piegavano alle leggi del clan. Agli atti dell’inchiesta ci sono i contributi versati, all’organizzazione, da un commerciante di ortofrutta, in cambio della protezione “per imporsi alla concorrenza e per gestire eventuali problemi con i creditori”. E ancora, identificato un noto gioielliere che avrebbe consentito al boss di fare affari con diamanti, orologi e gioielli, senza alcuna rendicontazione fiscale: per questo è contestato il reato di riciclaggio. L’operazione dei carabinieri di Catania ha fatto emergere «una situazione di grave inquinamento mafioso del tessuto economico locale, come dimostra l’individuazione di diversi imprenditori che consapevolmente favorivano le illecite attività del clan». E’ quanto emerge dall’inchiesta coordinata dalla Dda etnea e sfociata nell’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare per 40 indagati. Come il caso del titolare di una ditta di commercio di prodotti ortofrutticoli che otteneva la protezione della mafia per imporsi sulla concorrenza e gestire eventuali "problemi" con i creditori versando ai vertici della cosca una percentuale degli utili di impresa e consentendo loro di concludere affari. O, ancora, il proprietario di importanti gioiellerie che consentiva al capo del clan di operare compravendite in contanti di diamanti, orologi e gioielli, senza rendicontazione fiscale, permettendogli di riciclare denaro "sporco". Dalle indagini emergevano anche i contributi al sodalizio mafioso da parte di imprenditori di Paternò con condotte volte a favorire consapevolmente le illecite attività del clan. Emblematica in tal senso la posizione di TORTOMASI Salvatore, ritenuto responsabile di concorso in associazione mafiosa poiché, quale titolare di una ditta che si occupava di commercializzazione di prodotti agricoli ed ortofrutticoli, pattuendo con i vertici sia dell'intero clan mafioso “Santapaola-Ercolano”, sia del gruppo di Paternò, ed in particolare con la famiglia Amantea, il versamento di somme di denaro anche quale percentuale degli utili dell'attività di impresa e consentendo agli stessi di concludere affari occultamente in società con se stesso, riusciva nei territori sotto il controllo del clan mafioso ad imporsi in posizione dominante nelle attività economiche esercitate, ottenendo protezione anche nei confronti dei creditori e di altri clan mafiosi, così favorendo la realizzazione di profitti e vantaggi ingiusti per il clan, al quale forniva un contributo stabile e protratto nel tempo alla realizzazione delle finalità della medesima organizzazione mafiosa. Altre figure imprenditoriali di Paternò in rapporti con il clan erano quelle di Nicotra Angelo, proprietario di importanti gioiellerie, e di Corsaro Enrico Maria, ai quali venivano contestate condotte volte a consentire rispettivamente a Puglisi Pietro e ad Amantea Vito Salvatore di nascondere la provenienza illecita di beni e somme di denaro. L’indagine, come anticipato, ha permesso anche di disarticolare tre diverse associazioni per delinquere finalizzate al traffico di stupefacenti. In particolare, è stato possibile accertare l’esistenza di tre diversi sodalizi, tutti collegati ai già citati gruppi territoriali del clan “Santapaola-Ercolano” ed in particolare: un primo sodalizio diretto ed organizzato da Puglisi Pietro e Mobilia Giuseppe e facente capo principalmente alla famiglia mafiosa “Assinnata”; un secondo sodalizio diretto ed organizzato da Amantea Vito Salvatore e da Stimoli Barbaro, operante su Paternò e Belpasso; ed infine un sodalizio diretto da Stimoli Salvatore e sempre operante in Paternò. Ancora, è stata contestata una tentata estorsione aggravata ai danni dell’industria dolciaria “Condorelli” di Belpasso, però fermamente respinta dalla vittima. E quindi non andata in porto. Nel corso delle indagini emergeva, inoltre, l’esistenza di un sodalizio, capeggiato da Amantea Salvatore Vito e Beato Giuseppe, componenti anche del clan mafioso, finalizzato a commettere più delitti di truffa e falso in danno dell'INPS, al fine di fare ottenere indebitamente l'indennità di disoccupazione agricola a falsi braccianti agricoli compiacenti. Segnatamente Beato Giuseppe ed Amantea Salvatore Vito, con ruolo di promotori ed organizzatori del sodalizio, anche facendo valere la loro qualità di esponenti di spicco del clan mafioso “ALLERUZZO - ASSINNATA”, promuovevano, dirigevano e organizzavano una rete di ditte compiacenti e soggetti che agivano quali procacciatori di falsi "braccianti agricoli", in modo da fare falsamente risultare a questi ultimi un numero di giornate lavorative idoneo ad ottenere l’indennità di disoccupazione e incassando poi dai falsi braccianti il compenso pattuito. In sintesi, i sodali procuravano i nominativi di soggetti compiacenti i quali dovevano figurare come "braccianti agricoli" e con i quali si accordavano per ottenere un compenso pari a circa 20 euro per ogni giornata lavorativa falsamente dichiarata; tenevano i contatti con alcune ditte e, di comune accordo con tali soggetti, predisponevano tutta la documentazione necessaria ed inoltravano all’INPS le domande per la disoccupazione. In questo modo il denaro pubblico destinato a sovvenzionare i braccianti agricoli stagionali per i periodi che non potevano lavorare, andava ad alimentare le casse del clan mafioso che peraltro acquisiva la gratitudine di soggetti compiacenti i quali, grazie a tale sistema, ricevevano comunque somme di denaro pubblico senza mai avere svolto alcuna attività e senza averne diritto. Il Giudice per le indagini preliminari ha applicato la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di: