di Alfio Franco Vinci
Vorrei invitare quanti, detentori del quinto potere, specie se concitati cronisti in diretta radio televisiva, indulgono in errori di definizione dei soggetti coinvolti nelle circostanze che si trovano a riferire e commentare, a ricordarsi che, come vuol farsi risalire fino a Cristo, “ne uccide più la lingua che la spada”.
Naufraghi o aspiranti immigrati irregolari?
In questi giorni è diventato un mantra definire “naufraghi “quanti sono in realtà“ aspiranti immigrati irregolari“. Naufrago, infatti, è colui il quale ha vissuto la devastante esperienza della rottura e affondamento della nave sulla quale era imbarcato, e che ha il sacrosanto diritto, tutelato dalla legge del mare e dal codice internazionale della navigazione, di essere salvato e poi sbarcato nel primo porto che toccherà la nave che lo ha salvato prendendolo a bordo.Quanti in questi giorni, e decine di migliaia prima di loro, sono a bordo delle navi ONG attraccate al porto di Catania, checchè ne dicano i radio/telecronisti, evidentemente maestri nell’arte del pathos, non sono naufraghi, ma appunto “aspiranti immigrati irregolari “.Nessuna delle imbarcazioni che, dietro lauto pagamento, li ha portati all’appuntamento in acque internazionali con i loro “salvatori”, ha fatto naufragio. Queste infatti, dopo aver completato il trasbordo dei “naufraghi “, e dopo aver lanciato l’SOS , fanno tranquillamente ritorno ai porti di partenza, per imbarcare altri “aspiranti immigrati irregolari“.Che vi sia un preciso disegno è di tutta evidenza; i poveri sedicenti naufraghi pagano, per questi pericolosi e disagevoli passaggi, prezzi almeno 5 volte superiori a un normale biglietto di nave o di aereo; nessuno di loro ha documenti e l’identificazione avviene secondo quanto da loro stessi dichiarato, direttamente o per il tramite dei mediatori culturali;Tutti quelli che possono,”a occhio”, apparire minorenni dichiarano di essere nati nello stesso giorno o settimana.Io capisco l’afflato di fratellanza che anima i cronisti impegnati in prima linea; capisco meno, come invece, loro, che sono professionisti della parola, possano indurre i più emotivi a a immaginare scenari inesistenti, o magistralmente architettati.Ne uccide più la lingua che la spada, e, nella fattispecie, non può considerarsi un errore linguistico, ma una precisa scelta, e quindi un’aggravante.Se io do un pugno è violenza; se lo dà un pugile professionista, fuori dal ring, è tentato omicidio, perché lui ha il controllo dello ”strumento“ che usa, così come il giornalista ha il controllo della parola.Spero solo in un po’ di obiettività e di correttezza deontologica.