Folla in viale Vittorio Veneto, nella sede di Confindustria, a Catania. Si è svolto stamani un primo incontro per l'esame congiunto della procedura di riduzione del personale. A forte rischio licenziamento 130 unità dello stabilimento etneo della multinazionale Pfizer, di cui 80 a tempo determinato. Sul posto i maggiori rappresentanti dei lavoratori che hanno manifestato il loro massimo diniego al probabile depotenziamento della sede catanese del colosso statunitense. A tenere sotto controllo i manifestanti, le forze dell'ordine. "Le sigle sindacali hanno chiesto all'azienda di muoversi su due tavoli paralleli - spiega Giuseppe La Mensola, di Cisal - il primo riguarda la richiesta di avere un piano industriale forte e progettuale per portare nuove risorse di biotecnologie per la nuova produzione farmaceutica di Pfizer in città; il secondo ha invece a che fare con la procedura di mobilità che è stata aperta in maniera coatta su 130 licenziamenti. Abbiamo chiesto all'azienda che il sindacato accetterà soltanto il criterio della volontà, null'altro; a tal proposito la stessa si è riservata di riconvocare i sindacati per proporgli la loro idea. Degli 80 a tempo indeterminato ad oggi l'unica opzione sarà quella del trasferimento ad Ascoli Piceno". Tanta la determinazione nel ricercare risposte concrete davanti ad azioni che sembrano inspiegabili dati gli ottimi risultati conseguiti dall'azienda specialmente in questi due anni di emergenza pandemica: "Non riusciamo proprio a spiegarci il perché la Pfizer abbia scientemente scelto di non investire sul sito etneo. Le nostre molecole sono vecchie, lo sappiamo, ma chiediamo un rinnovamento che deve derivare da un investimento importante nella nostra città. Manca la volontà" - afferma convinta Simona Russo di Cgil. Una decisione a dir poco scellerata anche per Damiano Cucè, di Potere al popolo: "La gente si ritrova in mezzo alla strada da un momento all'altro, ma perché poi? Per un'azienda che ha fatturato tantissimi soldi. Tutto ciò è veramente incredibile!". Un paradosso cui si stenta a credere, mentre intanto il governo sembra essere silente dal canto suo. Da una parte le persone rischiano il posto di lavoro, dall'altra l'indifferenza di chi dovrebbe rappresentarci sembra essere la via più giusta per una Catania che non è mai stata presa sul serio. Una città lasciata al suo triste destino, fatto di precarietà ed emigrazione costante. "Vogliamo il lavoro e lo vogliamo a Catania" - aggiunge Gaetano d'Alessandro di Uiltec. Un sud portato allo stremo, ormai abituato alle ingiustizie di un lavoro che manca e che, quando c'è, si ritrova spesso ad essere temporaneo. Persino dei contratti a tempo indeterminato sanno trasformarsi in mera carta straccia. "O vai al nord, o perdi il posto": un ricatto bello e buono quello che sembra esser stato messo in atto anche dalla Pfizer. Dipendenti dietro cui si celano famiglie, situazioni troppo grandi per decidere di partire da un momento all'altro, sballottolati in una sede che è lontana, in una terra che non è la loro. Case che si ricostruiscono, lavoratori che si abbandonano a sé stessi. Una macelleria sociale dalla faccia crudele di un'Italia avvelenata: "Catania subisce ancora una volta una violenza bella e buona - osserva Orazio Vasta di Usb - inspiegabile quello che i dipendenti stanno vivendo, tra l'altro per un'azienda che non è nemmeno in perdita, anzi tutto il contrario". A questo punto ci si chiede se qualcosa possa cambiare, nell'attesa di una prossima riunione prevista già questo venerdì alle 11:30 davanti alla sede della Prefettura. Sembra quasi che si voglia giocare coi dadi, un po' come in quelle avventure di Pantagruele narrate dal genio di Rabelais. Proprio come il giudice Brigliadoca del romanzo, la Pfizer pare divertirsi con le vite di quelle unità, che prima d'esser tali, sono persone con un nome e una storia alle spalle, la stessa che di certo non può subire la mano drastica di chi dall'alto si diverte a giocarci incautamente.